Un immigrato molto particolare

L'EX SOLDATO DELLE FORZE SPECIALI UCRAINE

Da paracadutista ucraino d'elite a buttafuori in un locale fiorentino

Di seguito la storia completa di quanto raccontato in un mio articolo apparso sulla stampa locale, in seguito a un intervento notturno con un'ambulanza di un'associazione di volontariato per la quale ho svolto servizio anni fa.

Intervento notturno
Stavolta con la squadra di emergenza abbiamo come destinazione un giardino pubblico privo di illuminazione, nei pressi di una nota area di parcheggio di Firenze. Guanti di lattice già indossati, scendiamo dall'ambulanza e procediamo nella notte, torce accese, verso due uomini che ci fanno segno di avvicinarci.

Maschio, bianco, età apparente 25/30 anni...
Il paziente è un colosso: non saprei definirlo in modo differente. È alto più di un metro e novanta e sicuramente oltrepassa i 100 chili di peso. Del sangue gli cola sulle guance da alcune ferite sulla testa. Domande di rito: "Sei svenuto? Hai sensazione di vomito?" Un'occhiata alle pupille con la torcia tascabile: reagiscono allo stimolo luminoso e hanno medesimo diametro quindi, al momento, non sembra esserci alcun segno di danno neurologico. "Ma che ti è successo?", chiedo. "È caduto quello e ha fatto me male a testa" replica il tipo - che si rivelerà poi essere di origini ucraine - indicando un'enorme chiave inglese che giace a terra, a pochi metri di distanza. Mentre un altro membro della squadra si dirige a prendere la chiave inglese, passo a ispezionare il cuoio capelluto del paziente: le ferite ci sono e al tatto le sento come tre solchi. Lui sorride mentre lo esamino: ha un'espressione come a dire "Ne ho viste di peggio... questi sono graffietti da niente."

La versione dei fatti non regge
La chiave inglese è lunga una quarantina di centimetri e pare bella pesante. Molto difficile che la sua sola caduta - da dove, poi? - abbia procurato ben tre ferite, distinte. E a tutti noi pare anche poco credibile che una chiave di quelle dimensioni se ne cada così, durante la notte, proprio in testa ad un passante, come insiste a sostenere Dimitri. Il quale, nonostante dica di essere stato colpito da quell'oggetto contundente così pesante, è ancora vivo.

Verso il pronto soccorso
Consultato via telefono, il 118, com'era prevedibile, ordina il trasporto al pronto soccorso. C'è un intoppo: il ragazzone è troppo lungo e non mi entra in barella. Mi scuso con lui per l'inadeguatezza dei nostri mezzi ma lui mi fa capire che può salire sull'ambulanza anche da solo e si sdraierà facendo sporgere i piedi dal lettino. L'uomo che è con Dimitri fa una telefonata - in seguito scopriremo che ha chiamato la mamma del nostro paziente - ci ringrazia per l'aiuto, saluta e se ne va.

Indagine personale
I piedi di Dimitri calzano anfibi militari dall'aspetto piuttosto vissuto. E non sono anfibi simil-militari come molti in commercio: no, quelli che indossa sono autentici. Mentre ci dirigiamo all'ospedale, cerco di conoscere un po' la sua storia. D'accordo, abbiamo capito che è ucraino, ma in Italia cosa ci fa? Spiega che sua madre lavora qui come badante ormai da anni e lui l'ha raggiunta e adesso lavora come buttafuori. Be', ce lo vedo bene a svolgere questo lavoro: il physique du rôle c'è tutto. La versione dei fatti, però, ancora non mi convince. Come ha fatto a procurarsi quelle ferite? Dimitri comincia a cedere e propone una storia differente. Dice che la serata con gli amici (chi erano gli altri? Lo abbiamo trovato in compagnia di uno solo di loro) stava andando bene ma ad un certo punto hanno iniziato a discutere (di cosa?) e allora qualcuno (chi?) si è arrabbiato (per quale motivo?) e ha tirato fuori (da dove?) una chiave inglese. "Sì, Dimitri. Certo! Anch'io mi porto sempre dietro, in una tasca del gilet, una chiave inglese del peso di almeno cinque chili." Gli faccio capire che non sono stupido e che queste cose le può raccontare a qualcun altro. Diciamo piuttosto che forse c'è stato un regolamento di conti con altri buttafuori? Oppure, oltre al lavoro normale, lui fa qualche favore ad amici e questa volta ha avuto la peggio? Sulle prime non risponde poi, ridendo bonariamente, mi fa capire che sono troppo curioso. Ecco, bravo Dimitri! D'accordo: accetto la sottintesa richiesta di non andare oltre con le domande e volentieri incasso la tacita ammissione che le mie ipotesi potrebbero non essere molto lontane dalla verità.

Nostalgia di una vita fa
Dimitri teme per il suo permesso di soggiorno: ha paura che se si venisse a sapere che è rimasto coinvolto in una rissa, forse sarebbe chiamato a rispondere a qualche domanda imbarazzante e rischierebbe di venire espulso. Meglio cambiar discorso, con la speranza che il (buon?) Dimitri abbia imparato la lezione. D'accordo, allora "In Ucraina, cosa facevi?", chiedo. Il volto di Dimitri si illumina di colpo: "IA SPIETSNÀZ!" ("Io [ero uno] Spetsnaz!"), afferma orgoglioso e usando, molto spontaneamente, la sua lingua madre. Ah, ecco! Ora mi spiego alcune cose. Dimitri è stato uno Spetsnaz, un soldato delle forze d'intervento speciale. So chi sono gli Spetsnaz e il fatto che io - un occidentale - li conosca, inizialmente lo meraviglia ma poi lo induce ad aprirsi. E così, chiacchierando, viene fuori che ha conseguito il brevetto di paracadutista. Dimitri capisce bene l'Italiano e, quando vuole e parla delle cose che gli piacciono, sa spiegarsi in modo efficace. Scopro quindi che ha addirittura l'abilitazione ai lanci di guerra, cioè da altezze inferiori ai 200 metri, effettuati indossando l'equipaggiamento completo.

Al pronto soccorso
L'infermiera di turno al TRIAGE scruta Dimitri con uno sguardo che sembra dire "Guarda questo qui quanto è grosso! E dove lo metto?" In effetti anche le barelle dell'ospedale non sono abbastanza capaci per il corpo sovradimensionato del nostro amico. Dovremmo spostarlo dalla nostra barella a quella dell'accettazione. Ci scambiamo un'occhiata che Dimitri intercetta e comprende al volo, tanto è vero che, di sua iniziativa, scende dalla barella e si sdraia su quella del pronto soccorso, nonostante i nostri inviti - invero poco convinti - a non farlo, perché sarebbe nostro compito. Con poche parole spieghiamo all'infermiera circostanze e dinamica dell'accaduto, come riportate da Dimitri. Sguardi d'intesa fra tutti, Dimitri compreso.

Fine servizio con sorpresa
Mentre usciamo dall'accettazione, arriva una donna piccola ma robusta. Dimitri fa capolino dalla porta della stanza del pronto soccorso e la signora inizia a rimproverarlo. Lui si trasforma completamente. Diventa timidissimo, non ribatte, abbassa lo sguardo e assume l'espressione di un bambino che è stato pescato con le mani nella marmellata. La signora è molto arrabbiata ma non urla: lo rimprovera aspramente, si capisce dal tono che usa. Probabilmente gli sta dicendo che è sempre il solito, che non cambia mai e che certe amicizie prima o poi gli faranno fare una brutta fine e che lei ogni volta si preoccupa e sta male per lui. È una scena tenera e buffa, allo stesso tempo.
La curiosità mi spinge ad avvicinarmi con il pretesto di salutarla. Mi rivolge un gran bel sorriso. "Ah! Siete voi che lo avete soccorso? Grazie! Grazie davvero! Il mio bambino parla poco Italiano ed è stata una fortuna che abbia trovato voi! Grazie!"
Bambino! Quel colosso, la dolcissima ma solida signora ucraina me lo chiama bambino! Scopro così un'interessante verità: anche i rudi uomini dell'est sono in fondo cocchi di mamma.


Uno Spetsnaz soccorre un bambino dopo il blitz di Beslan
Uno Spetsnaz soccorre un bambino dopo il blitz durante l'assedio di Beslan
Alcuni dettagli delle circostanze descritte sono stati modificati.
Gli Spetsnaz (pronuncia: spiéznàs, dal Russo спецназ, contrazione della locuzione специального назначения, il cui significato è "per incarichi speciali") sono unità militari d'elite delle repubbliche ex-sovietiche. L'impiego di queste unità altamente specializzate varia dalle normali attività di pattugliamento e mantenimento dell'ordine pubblico durante eventi civili fino ad operazioni di interdizione e sabotaggio in teatri di guerra.